di Mauro Minervini (1946-2017)

 

 
 

ochi costruttori, fuori dell’Inghilterra, hanno lasciato grande impronta  nella storia dell’archibugeria fine; ancor meno sono quelli che lo hanno fatto nello scorcio di tempo intercorrente tra la fine del diciannovesimo secolo e la prima metà di quello successivo. Qualche Italiano (la scuola Romagnola  da una parte e pochi luminosi esempi della nascente scuola Bresciana dall’altra), rari lampi isolati in Francia e Spagna, la particolare, seppur valida, scuola mitteleuropea,  votata   peraltro più  

 
 

 alla canna rigata che a quella liscia ed impostata su peculiarità tecniche ed estetiche non sempre facilmente accettate fuori di quello specifico ambito culturale. Ma nel vecchio continente sopratutto una piccola realtà ebbe a tenere costantemente alta la bandiera del fucile fine, connotandolo in modo inconfondibile: gli artigiani Belgi.

 
  Sulla punta delle dita si contano quei grandi costruttori che emergono dalla massa indistinta degli scopiazzatori, produttori anonimi di squallide versioni minori della produzione di altri Paesi.  
  Un ridotto numero di veri artisti, che seppe fornire continuativamente armi  di altissimo livello sostanziale e formale.  
  Seppur evidentemente ispirate, la sidelock e la sovrapposta ancor più della boxlock e della parallela, all’ archetipo Inglese le doppiette Belghe divennero rapidamente, grazie a questi pochi grandissimi artigiani,  espressione di una scuola indipendente e distinta da quella Albionica.  
  Differenze minime nell’impostazione, nelle dimensioni, negli equilibri complessivi; armi forse intermedie, da alcuni punti di vista, tra scuola inglese e Romagnola prima e Bresciana poi. Bascule meno filanti rispetto al prodotto Isolano, ma senza la magnifica rocciosità di quelle romagnole. Solidi calci e robuste canne, che non sempre ricalcano pedissequamente le linee Inglesi, ma mai raggiungono le consistenze, a volte splendidamente gravi, dei sanguigni Toschi, Zanotti, Cortesi...  
  Una scuola che ha dato fucili magnifici, ispirati agli altrettanto splendidi fucili Inglesi, ma non insipide e pedisseque copie. Pochi, ma altisonanti nomi. e tra tutti un gigante: Lebeau e Courally.  
  È proprio ad una doppietta di questa mitica casa che  vogliamo dedicare queste righe:  
     
  "side by side shotgun model 3 special pigeon gun with hand detachable side locks – without  ejectors - 12 ga - barrel length 74 cm - full choke - chambers of 70 mm - square body action - two triggers -engraving by Hannay - made in 1924 for Césare B......."  
     
  "Fucile giustapposto a canne lisce   Modello 3 speciale per tiro al piccione con batterie su  cartelle laterali smontabili a mano - senza estrattori automatici - cal 12 –lunghezza canne 74 cm. strozzatura piena - camere da 70 mm- bascula quadrata - bigrillo- incisioni di Hannay - fabbricata nel 1924 per  Cesare B......"  
     
  Sono questi i dati fornitici, con cortesia e sollecitudine,  dalla Lebeau-Courally cui avevamo trasmesso qualche foto dell’arma precisandone il n° di matricola, 41116.  
  Ed è seguendo questa descrizione che andremo ad esaminarla.  
     
  speciale piccione  
     
  Appena il fortunato proprietario, il Conte Giulio M.Z.J., la ha estratta dal fodero per consentirne l’esame, sono stato colpito dalla struttura dell’arma. Quando mi aveva parlato di una Lebeau Courally, avevo subito pensato ad un’arma sotto i tre chilogrammi, forse un “mod. Principe Koudaceck”. Come quella che il mio amico Giancarlo, sparato un pacco di cartucce da 32grammi, riportò in armeria chiedendo al sorridente Comm. Casciano "un sano fucile Italiano da 3,5 kg". Dalla custodia mi attendevo uscisse un’arma austera e consistente,  ma nel contempo lieve e  frizzante: proprio come una flûte di Dom Perignon.  
  Invece è uscito fuori un bel doppiettone  corposo e sanguigno come un bicchiere di Castel del Monte. 3,3 chilogrammi di peso, una bascula elegantissima, ma  possente ed incrollabile. Solidi seni massicci prorompono da una poderosa culatta, cui si raccorda la tavola abbastanza breve, larga ed alta. Il tenone posteriore affonda la propria appendice posteriore  dietro la faccia di bascula,  secondo la solida soluzione Zanottiana. Dalla culatta delle canne emerge la tripla Westley Richards.  L’astina è a coda  di castoro, forse non il massimo dell'eleganza, ma certamente più adatta di una più sottile e rastremata a controllare l’arma in pedana, spesso doppiando rapidamente la fucilata con cartucce pesanti e veloci. È peraltro da ritenere che sia, quest’ ultima, una variante apportata successivamente per scelta del proprietario, verosimilmente dopo il secondo conflitto mondiale.     
     
   
   
   
   
     
   
   
   
     
     
  Tutto fa pensare, dal primo impatto, ad un fucile da piccione; ad uno strumento fatto per tirare continuativamente cartucce da 36 grammi, o meglio: per tirarne molte in un ristretto arco di tempo. L’arma deve essere tenuta dal tiratore solo pochi secondi alla volta, non portata per ore, e che quindi può, deve, essere pesante Lunghe le canne: si tira non d’imbracciata, ma impostati, il peso in avanti non solo non impaccia, limita la possibilità di “sbandierare”. La larga bindella, finissimamente zigrinata  in funzione anti riflesso, ben  le completa  esteticamente  e contribuisce in modo concreto ad aggiustarne il peso.  
  La solidità della chiusura è affidata a due massicci tenoni, ben aggiustati a rifiuto d’olio, e ad una bellissima chiusura Westley Richards ( o testa di bambola) Il tutto coadiuvato da due appendici laterali, a forma semilunare, dei seni di bascula. Tali appendici sono preposte a contenere (non ad eliminare, sia chiaro) gli scollamenti delle canne che, seppur ben tenute al centro dai tenoni e dalla tripla, non possono comunque restare perfettamente chiuse lateralmente al momento dello sparo.  
     
 

 
   
   
   
   
     
   
     
   
   
   
     
     
     
  Batterie su cartelle laterali smontabili a mano  
     
  Certamente, una buona boxlock (parliamo di un’arma di pregio, con molle delle batterie a lamina e costruita con la stessa cura di una sidelock di pari livello; ma ce ne son poche, soprattutto attuali) non è sostanzialmente inferiore ad una doppietta a piastre laterali. Peraltro, la bascula scavata per alloggiare il meccanismo di scatto la rende teoricamente più delicata. Inoltre, quando si parla di incisori come Hannay, più metallo  c’è per dare spazio al loro estro, più sarà esteticamente gradevole il fucile.  
  Lo smontaggio manuale delle batterie non è cosa che io abbia mai ritenuto particolarmente interessante.  
  Esteticamente la chiave rompe l’armonia della piastra, da un punto di vista pratico  se non si dispone dei ricambi “sul campo” è inutile procedere allo smontaggio;e di certo i pezzi di fucili di tal livello non sono, né erano, reperibili sul campo! Unico vero aspetto positivo è che se il fucile viene aperto da uno scalzacani, non si rovinano le viti.  
  Come è purtroppo successo a questa bell’arma, le cui viti del petto di bascula avrebbero meritato miglior sorte e rispetto.  
  Come lo avrebbero meritato i legni. Il calcio e l’astina sono evidentemente rifatti. Lo possiamo rilevare non per scarsa qualità dell’essenza, dai toni caldi e dalla bella venatura longitudinale, ma  da un particolare inconfutabilmente significativo: lo zigrino è solo accennato, ossia sono state tracciate le linee  sulle quali effettuare la vera e propria opera di zigrinatura.  
  Sul legno, solo un preciso reticolo di losanghe senza cuspide,  che dovevano servire come guida per effettuare un reticolo di fitte cuspidi da 30 o 35 righe per pollice. Non esistono tracce di  impoverimento del legno per profonda carteggiatura, il calcio all’inglese appare del tutto integro, così come la bella astina a coda di castoro, variante probabilmente apportata appunto al momento del rifacimento.  
  L’ipotesi più probabile è che si sia dovuto provvedere alla sostituzione dei legni e che il proprietario abbia avuto impellente necessità di usare l’arma prima del completamento dell’opera, rinviandolo poi sine die.  
  Peccato, perché dalle incassature, dall’ergonomia dell’astina e  dall’impostazione del calcio si deduce facilmente che il lavoro era stato affidato a persona capace di portarlo a termine nel migliore dei modi.  
     
 

 
   

 

 
  Senza estrattori automatici  
     
  Quello che nel fucile non c’è, diceva J.M. Browning, non si rompe. In pedana nulla è meno indispensabile degli ejectors; inoltre, l’esibizione del bossolo volante, oggi un must sui campi di tiro, non credo fosse molto apprezzata  nella buona società che durante gli anni ruggenti frequentava gli stands di tiro al piccione.  
  Il gadget serviva essenzialmente nelle cacciate in battuta, situazione in cui la velocità di ricarica dei fucili gemelli, affidata al valletto ed agli estrattori, era essenziale per fronteggiare il continuo, velocissimo flusso dei volatili sospinti da cani ed uomini.  
  In pedana invece, sparato il volatile, si procedeva manualmente all’estrazione dei bossoli e  ci si allontanava dalla pedana. Senza psicotiche frette e congestioni, incompatibili col tono degli stands di tiro a volo dell’epoca.  
  E come fortunatamente ancora oggi qualcuno ama fare.  
     
 

 
 

 
 

 
     
     
     
  calibro 12 camere da 70 mm.  
  lunghezza canne 74 cm.  
  strozzatura piena  
     
  Ovviamente, il calibro è il 12; il piccione è (in Italia era) volatile veloce e coriaceo ; abbatterlo “tenendolo nella rete” con regolarità è possibile solo investendolo con una massiccia dose di piombo. Pertanto, in armi specifiche, seguire  la tradizione Britannica –spesso fatta propria  dai Belgi- delle camere da 65 mm. con conseguente carica in piombo tra i 28,5 ed i 32 grammi era ed è decisamente fuori luogo.  
  Camere da 70 mm. con possibilità di sparare 36 grammi di piombo, danno al tiratore ben altre chances.  
  Per quanto concerne la strozzatura, crediamo che la gentile Signora che ci ha fornito i dati sia incappata in un piccolo equivoco. L’indicazione “choke” punzonata sulle canne stava ad indicare di regola, solo che la canna era strozzata, cioè non era cilindrica.  
  Infatti non solo le canne risultano strozzate di 6\10 di mm a destra (18.3-17.7)  e 10\10 (18,3-17.3) la sinistra quindi medium choke la prima e full solamente la seconda. I bocchetti non sembrerebbero ritoccati, ed un lavoro così perfetto dovrebbe essere stato fatto solo da un grande cannoniere (in fabbrica quasi certamente) tra l’altro sarebbero state modificate le relative punzonature, come su un S3 di mia proprietà; anche a livello logico sembrerebbe eccessiva una strozzatura piena in entrambi i tubi.  
  Grandissimi campioni hanno conquistato fama imperitura con  canne, soprattutto la prima, ben più larghe di queste.  
     
 

 
 

 
   

 

 
   
   
   
   
   
     
     
  square body action  
     
  La bascula, per mantenere peso e robustezza, ha mantenuto un profilo squadrato, senza arrotondamenti, soprattutto nella zona del petto. La scelta, pur nascendo da contenuti tecnici, non solo non turba l’estetica del fucile, ma contribuisce a renderla gradevole e ben equilibrata. Un’arma possente  ingentilita –se così si può dire- in un particolare caratterizzante come il profilo della bascula risulterebbe sbilanciata esteticamente, forse anche sgraziata.  
     
 

 
     
     
     
  bigrillo  
     
 

La scelta è di carattere del tutto personale; molti tiratori di piccione ritengono che il bigrillo sia comunque più veloce del monogrillo. La linea dei grilletti (l’anteriore è snodato) e della guardia è molto gradevole.

 
  Ovviamente, il calcio è all’inglese; quello a pistola limiterebbe il breve, impercettibile  scorrere della mano per portare l’indice sul secondo grilletto.  
     
     
  Incisioni di Hannay  
     
  L'incisione è veramente di livello elevato. Classica nel disegno di base, inglesina e bouquets di fiori, è peraltro figlia, in un certo senso, dei suoi tempi. La distribuzione dell’ornato non è più quella classica (vedi il giustapposto Army & Navy) con i bouquets  inseriti in zone lisce, ovali o circolari, inscritte nel più vasto campo inciso a riccio inglese, che orna il resto della cartella. Questa è invece incisa senza interruzioni, i bouquets  sbocciano tra le volute dell’inglesina quasi senza soluzione di continuità. Lo stesso criterio è adottato per il petto di bascula. I seni, a loro volta, non riprendono il classico motivo, ma sono ornati con grandi foglie, soggetto poco usato nella scuola Inglese e più ricorrente in quella mitteleuropea, ma senza quella certa gravezza che contraddistingue quest’ultima, difficilmente compatibile con la snellezza delle armi comunque riconducibili al modello Inglese.  
  Anche le due coperture metalliche del tallone e della punta del calcio riportano una semplice e gradevolissima incisione.  
  In sostanza dal consolidamento del pur splendido, classicissimo, archetipo di Purdey sono passati alcuni decenni;  il Liberty ed il new scroll hanno lasciato il loro segno, ma soprattutto Lebeau e Courally ha assunto una sua dimensione individuale che lo mette ormai sullo stesso piano dei grandissimi albionici, e può, vuole e deve esprimere i “suoi” parametri peculiari. Parametri tecnici, come le chiusure che, pur su comuni basi concettuali,  poco hanno a che vedere con quelle inglesi dal punto di vista strutturale prima che dell’aggiustaggio, ed estetici come questa splendida e non canonica incisione.  
  Che non è firmata, per quanto di altissimo livello. Perché, è questa la filosofia ormai purtroppo superata, è il complesso del fucile ad esprimere la cultura del fabbricante e dell’acquirente, non una firma più  o meno nota o, soprattutto, costosa.  
  Che sia di Hannay  risulta solo dagli archivi del fabbricante, in quanto il pur valentissimo incisore non aveva diritto a firmare il proprio lavoro. Tale “diritto”, oggi riconosciuto ad alcuni veri Maestri, maestrini innumerevoli e graffiabascule a bizzeffe, era riservato a pochi, eccelsi Signori del bulino, della punta, del cesello; tanto che finanche  veri artisti come Hannay (del quale ho visto altre cose, tutte notevoli, nessuna firmata) non erano ammessi  ad immortalare il proprio nome neanche su un angolino nascosto della propria opera.  
  Possiamo affermare che parlando di armi fabbricate fino alla fine degli anni '50, o alla metà del decennio successivo, che l’incisione  è firmata dall’autore costituisce quasi sempre indice sicuro di qualità superiore tanto dell’incisione stessa quanto dell’arma nel suo complesso.  
  Tra quelle non firmate se ne trovano, spesso, da far tremare i polsi a parecchi “eccelsi Maestri” di oggi.  
     
     
     
  Made in 1924     
     
  Che dire? I ruggenti anni venti, Zelda ed il Grande Gatsby, i nobili  Russi che servono in tavola nei ristoranti di Parigi, i grandi viaggi transatlantici col miraggio del Nastro Azzurro nella mente del comandante, l’orchestra che  allieta i passeggeri di prima classe e tormenta i già scomodi sonni degli emigranti; il delitto Matteotti, il Duce ancora senza uniforme, in ghette e bombetta. Questo è il contesto nel quale il fortunato Signor Cesare B. divenne possessore del Lebeau Model 3 special pigeon, splendida creatura, figlia, prima che dei suoi tempi, di Vulcano e Diana.  Nata nelle brume di Liegi per trascorrere la sua lunga vita sulle sponde del mediterraneo.  
  Gli stands di tiro al piccione come quello di Roma, di Montecarlo, sono prima di tutto teatro di avvenimenti mondani, ma il livello tecnico dei tiratori è, ciononostante, elevatissimo. Pari, spesso, solo a quello sociale loro e degli spettatori. Nobili, industriali di consolidate famiglie, parvenus ed avventurieri si affrontano in pedana senza esclusione di colpi; brandiscono, e brandeggiano, armi come questa. È raro, impossibile, trovare tra di loro chi si serva di un fucile anche solo esteticamente mediocre. Chi scende da una Isotta o da una Bugatti sfoggia Lebeau, Holland, Purdey, più raramente una splendida doppietta romagnola. E quasi sempre sa farne uso eccellente.  
     
   
   
   
   
     
  Molto ancora si potrebbe dire, ma la  parola va alle immagini di quest’arma, simbolo insieme  di un’epoca, di una scuola tecnica, di una particolare filosofia costruttiva, di situazioni sociali ed ambientali irripetibili.  
  Guardiamole, sogniamo, meditiamo