Le chiusure dei fucili basculanti moderni  
     
 

Mauro Minervini (1946-2017)

Lucio Michele Balbo

Tavole di Mauro Minervini e Gianfederico Rotellini

 
     
  Premessa  
  Da qualche anno mi si affacciava periodicamente alla mente l’idea di mettere su carta le mie pur scarse nozioni relative alle chiusure dei fucili basculanti, ormai pluridecennale passione; la spinta decisiva l’ho avuta da un articolo, redatto da uno dei troppi Guru del mondo autoreferenziale nel quale viviamo. Alle foto di una chiusura “a mensola” (verosimilmente derivata da una delle due Purdey) si accompagnava ripetutamente il commento “munita di una classica chiusura Greener”. A questo punto, mi sono detto, se si possono ammannire ai lettori cose del genere a pagamento, se ne potranno pubblicare altre (speriamo di minor gravità) su un sito cui si accede gratuitamente e i cui curatori, di massima e salvo casi disperati e disperanti, non guardano gli altri appassionati come Dante potrebbe guardare un “poeta a braccio” delle sagre paesane. Ergo, ho coinvolto un po’ di amici :Gianfederico Rotellini, raro e forse unico esempio di Avvocato con licenza di costruzione di armi da guerra; il solo professionista che riscuote, ovviamente, tutte le parcelle senza discussioni, che ha preparato delle bellissime tavole a china. Adolfo “Dodi” Mattiolo, anche lui appassionato con qualifica di armaiolo, che ha frugato tra le sue foto e me ne ha mandate di vecchie e di nuove, Gianluca Garolini, troppo noto per spiegare qui di chi si tratti, cui ho chiesto pareri, consigli e conforto.
Grazie alla Pietro Beretta (che mi sopporta dai primi anni ’50 e in particolare a Jarno Antonelli e a Manuel,Fabio e Rudy Piotti per la loro consueta disponibilità e cortesia.
 
  Abbiamo ritenuto utile inserire all’inizio di queste note delle tavole (le più belle opera di Gianfederico Rotellini, le meno belle sempre opera sua con alcuni miei interventi “mutilanti”) recanti la nomenclatura esclusivamente delle parti della doppietta interessate ai sistemi di chiusura, al fine di non “affollare” eccessivamente tavole e note.
 
  doppietta vista superiore  
  Bascula con canne vista superiore  
   
  Bascula con canne vista laterale  
     
   
  Bascula  vista superiore  
   
  Bascula  vista laterale  
   
  Bascula  e chiavistello  
     
  Generalità

La nascita della cartuccia diede soluzione a una serie di problemi, da quelli logistici del trasporto e immagazzinamento delle munizioni a quelli della prontezza di caricamento e della cadenza di fuoco. Nel contempo peraltro la progettazione delle armi doveva necessariamente adeguarsi al nuovo sistema di caricamento, fisicamente incompatibile con la struttura sostanzialmente monolitica delle armi ad avancarica nelle quali canna e strumento d'accensione erano saldamente ancorati l'una all'altro con sistemi certamente solidi, ma proprio per questo inidonei alla rapida introduzione, dalla parte della culatta, della carica “preconfezionata”. Pertanto si studiarono nuove soluzioni tanto per la costruzione di armi progettate ex novo per la gestione della “Cartuccia” quanto (segnatamente per le armi lunghe) per consentirne l'utilizzo nelle ormai superate “avancarica”.
 
  Le soluzioni furono numerose: oltre alle canne basculanti dei primi retrocarica progettati da Lefaucheux concettualmente analoghi ai basculanti odierni. Sistemi a tabacchiera, blocco rotante, otturatore, blocco cadente, canne rotanti tipo Dreise e moltissimi altri.  
  Alcuni solo fantasiosi ghiribizzi del progettista, altri muniti di una propria apprezzabile ma limitata funzionalità, altri destinati a durare negli anni e costruire la storia dell'arma moderna. Tra questi senza meno vanno annoverati il blocco cadente, a tutt'oggi attualissimo nella versione ideata dallo scozzese Farquharson e utilizzato in armi di altissimo livello da grandi costruttori Italiani e mitteleuropei, e il sistema a canne basculanti. Insieme a questi altri sistemi -che definiremo “minori” in relazione alla minor diffusione- quale la chiusura a canne scorrevoli del Darne e del sovrapposto Victor della FNA, cui dedicheremo un breve cenno.  
     
  Lefaucheux Doppia tabacchiera  
 
  Canne rotanti lateralmente Canne rotanti orizzontalmente  
 
  Dougall (vedi Express Dougall .500) Doppio otturatore  
     
  È certamente fuori dubbio, comunque, che per quanto concerne le armi a pallini (e parimenti i double rifles o express) non semiautomatiche si sia definitivamente affermato quasi senza “concorrenza” sin dalla fine del secolo XIX il sistema delle canne basculanti; ed è altrettanto indubbio che con l'evolversi delle prestazioni delle cartucce - da quelle delle vecchie Lefaucheux “a spillo” a quelle delle esuberanti attuali cartucce metalliche camerate in doppiette basculanti - le sollecitazioni subite dalle armi al momento dello sparo siano cresciute esponenzialmente costringendo i costruttori ad approntare bascule e canne sempre più solide e collegate tra loro con sistemi di bloccaggio reciproco sempre più robusti ed efficienti. Dalla cartuccia a spillo di Lefaucheux a quella a percussione centrale di Draw, che raggiunge già alla fine dl XIX° secolo, importanti picchi energetici e pressori non solo nelle cartucce a bossolo metallico destinate ai double rifles, ma anche nelle meno appariscenti cartucce a munizione spezzata, le chiusure del fucile basculanti hanno subito un'evoluzione legata a quelle delle prestazioni delle munizioni che erano via via delegate a gestire. Conseguentemente già dalla fine del XIX° secolo la struttura di quest’arma ha raggiunto, verosimilmente, il massimo sviluppo ed è possibile affermare che veri sostanziali passi in avanti siano stati fatti esclusivamente nel campo della metallurgia. Uno dei più capaci costruttori di fucili della Val Trompia -Manuel Piotti, persona che apprezzo anche e soprattutto dal punto di vista umano e della chiarezza delle idee- ebbe a dirmi pochi anni or sono “gli inglesi in questo campo hanno inventato sostanzialmente tutto, noi cerchiamo di migliorare quel che si può, ma non illudiamoci di inventare qualcosa di veramente nuovo”.  
  L'incremento delle prestazioni delle munizioni, come accennavamo, andava di pari passo con quello dello stress subito dalle bascule e dalle chiusure, che quindi progettisti e costruttori dovettero necessariamente adeguare alle nuove munizioni per consentire loro di sopportare una consistente quantità di colpi senza decadenza delle prestazioni dell'arma e nel rispetto dell’integrità sua e dell'utilizzatore.
Il fucile da caccia a munizione spezzata, così come quello ad anima rigata allora maggiormente utilizzato nelle cacce coloniali, “double rifle” o “express”, avevano assunto generalmente, già da moltissimo tempo, la conformazione della doppietta, generalmente a canne affiancate o “side by side”; tale struttura venne in genere mantenuta e a essa, per risolvere i problemi di caricamento sorgenti dal passaggio da avancarica a retrocarica, vennero applicate diverse soluzioni.
 
  Da una doppia “tabacchiera”dell'americano Allen a a una sorta di otturatore anch'esso doppio nel “breech loader” di Bacon rotanti sull'asse verticale, soluzioni in genere destinate a scomparire o a rimanere confinate nell'ambito del fucile costruito più per sperimentazione o forzata innovazione che per motivi pratici.  
  La conformazione iniziale, basculante, della doppietta a spillo Lefaucheux, invece, sopravvisse a queste innovazioni e il sistema, nelle proprie linee generali, divenne lo standard costruttivo di riferimento; peraltro, come accennavamo, il sistema di chiusura, cioè il bloccaggio delle canne alla bascula, divenne rapidamente inadeguato alle nuove cartucce e conseguentemente si resero necessari, pur mantenendo l'impianto generale della doppietta, dei miglioramenti sostanziali. A tal proposito non sembra superfluo rilevare che anche nelle cartucce con pressioni d’esercizio moderate le sollecitazioni possono essere elevatissime, poiché le pressioni si riferiscono all’unità di superficie e quindi anche una cartuccia apparentemente “soft”, come le vecchie NE o anche BPE, considerata la notevole sezione e la conseguente vasta area del fondello, necessita di una chiusura di grandissima robustezza.  
  Lo sparo genera una spinta sul fondello del bossolo, che tende a trasferirla sulla parte del fucile deputata appunto al bloccaggio del bossolo stesso. Nel basculante pertanto la sollecitazione interesserà la faccia di bascula, dalla quale il vivo di culatta della canna, o delle canne, tenderà a staccarsi avanzando. La spinta rettilinea e coassiale alla canna stessa peraltro, causa la presenza del perno sul quale le canne sono incernierate anteriormente, tende a causarne la rotazione. È pertanto indispensabile provvedere al bloccaggio del gruppo canne in modo tale da impedirne, appunto la rotazione sulla cerniera di bascula. Altrettanto ovviamente (certe cose a posteriori sembrano ovvie, quasi banali) la soluzione è stata quella di munire le canne di un’appendice che, in contrasto con un corrispondente sistema di bloccaggio posto nella bascula, rendesse il “breech loader” in grado di resistere alle sollecitazioni dello sparo. Sin dall’inizio s’introdussero dei tenoni, o ramponi, situati nella parte inferiore delle canne, muniti di una sede nella quale scorreva o comunque s’inseriva un chiavistello ricavato nella bascula. In alternativa, o “ad adiuvandum”- sulla parte superiore delle canne -tra le canne o nel prolungamento della bindella- venivano inserite una mensola o un’appendice, dalle più svariate fogge, che si bloccavano rispettivamente contro un chiavistello che scorreva dietro la faccia di bascula o in un apposito scasso ricavato tra i seni di bascula, ove altrimenti trova collocamento la conchiglia.  
     
 

 
       
     
  Inizialmente i due tipi di chiusura erano alternativi l’uno all’altro, in seguito (tranne pochissimi casi, come per la chiusura alla bindella tipo “Bissel” tipica dei fucili di J Rigby e di T. Bissel, la Greener e la Puppet Head di W. Richards, a volte usate senza chiusure inferiori) si generalizzò l’uso di quella inferiore mediante ramponi accompagnata spesso (di regola nei fucili a ramponatura tipo duplice Purdey ) da una chiusura superiore che prende generalmente il nome di “terza” o “triplice” chiusura (in quanto aggiuntiva alla onnipresente “duplice” ai ramponi assunta come punto di riferimento). Quando queste chiusure superiori esplichino, o a volte pretendano di esplicare, la propria funzione mediante più sistemi di bloccaggio il numero degli stessi (sempre partendo, nel "conteggio", dalla base della duplice chiusura ai ramponi, cui questi accorgimenti si sommano) determina l’aggettivo col quale la chiusura viene indicata. Quindi avremo, ad esempio, la “quadruplice Varriale” nella quale a quella, duplice, inferiore si sommano una “puppet head” e una pseudo Greener, unificate, peraltro malamente, nel medesimo meccanismo.  
     
  LE CHIUSURE INFERIORI  
  Nel fucile basculante a due canne affiancate(che chiameremo brevemente “doppietta”), che mutuava una struttura già molto diffusa tra i fucili da caccia ad avancarica, andava affrontata e risolta una problematica particolare:  
  La ramponatura posta tra le due canne, di qualsiasi genere e tipo fosse (forse con la sola eccezione della Bissel inferiore, alla quale dedicheremo una nota a parte insieme alla più nota superiore dello stesso armaiolo) non era in asse con la direttrice delle energie sviluppate dallo sparo che agivano invece parallelamente all’asse centrale della chiusura. Questo comportava, e comporta, la tendenza della canna a flettere verso l’interno e “scollarsi”, sul piano orizzontale, dalla faccia di bascula con una pur impercettibile rotazione verso l’esterno del vivo di culatta.  
   
  Gli armaioli inglesi, nel XIX secolo, effettuarono numerosi esperimenti utilizzando una spia costituita da un leggero foglio di stagnola bloccato a cavallo di canna e faccia della bascula. Con le cariche più leggere il foglio rimaneva integro, ma al crescere delle pressioni si lacerava dimostrando come per una frazione di secondo si creasse una pur impercettibile, ma apprezzabile, soluzione di continuità nel blocco vivo di culatta delle canne e faccia della bascula.  
  Lo sviluppo interessò tanto la forma e la posizione dei ramponi, o del solo rampone, inferiore quanto la progettazione di una chiusura che vincolasse alla bascula anche la parte superiore delle canne.
Successivamente alle prime imbasculature assai leggere e poco resistenti per i parametri attuali, andò affermandosi una semplice e robusta chiusura inferiore denominata “Cross Lock“ ovvero ”a T” consistente in una coppia di ramponi, o tenoni, che presentano entrambi, nella faccia posteriore il primo e in quella anteriore il secondo,due fresature contrapposte in guisa da lasciar libero un incastro a forma di croce. Nel piano di bascula sono ricavate due mortase, separate da un traversino, nelle quali scorre un chiavistello comandato da una leva posta generalmente sotto i grilletti, a seguire il profilo della guardia, più raramente a costituire addirittura la guardia stessa, con la sua parte convessa e proseguire verso la parte posteriore del calcio con una codetta che funge da impugnatura. Questa solida chiusura ebbe ampio successo e diffusione, ma era caratterizzata dalla necessità di una struttura assai massiccia della bascula che comportava pesi molto elevati. Era inoltre incompatibile coi sistemi di estrazione automatica dei bossoli (che nascono e si diffondono in Inghilterra già alla fine del XIX° secolo); o, forse, all’apparire e rapido diffondersi della “Purdey” si rinunciò a progettare un “ejector” dedicato a questa bella chiusura presente in molti express di gran classe anche successivi al famoso “brevetto 1104”.
 
     
  chiusura a t  
     
   
     
     
  Le chiusure moderne  
  Nel frattempo, appunto, la casa Purdey aveva sviluppato (brevetto 1104 del 1863), la cosiddetta “duplice Purdey” una chiusura molto efficiente e che in effetti - quasi obbligatoriamente accompagnata da una chiusura superiore, detta “terza chiusura”- ha costituito nel corso di un secolo lo standard per i fucili inglesi e per decenni è stata adottata, su fucili di ogni grado di finezza, da tutte le case costruttrici.  
  foto  
  Abbiamo voluto inserire questa foto, con i pezzi semilavorati sullo sfondo di un panno dell’officina che reca i segni dell’uso e del lavoro, perché un’asettica bella tavola a china o anche una foto su un bel telo di immacolato lino o cotone sarebbe stato un ipocrita omaggio alla forma e non avrebbe reso l’atmosfera che si respira in questa e altre Botteghe (purtroppo sempre di meno) della Val Trompia  
     
   
     
  Due ramponi inferiori, di cui quello anteriore va a contatto nella parte posteriore col traversino e la mortasa e con quella anteriore supporta, con un apposito incavo semicircolare a copiare il perno di bascula, la rotazione delle canne mentre Il secondo non segue invece esattamente il profilo della mortasa e, se l’imbasculatura è corretta, è in contatto solamente in parte col traversino, mentre la sua parte inferiore si discosta dalla corrispondente faccia della mortasa; si parla di “doppio giro di compasso” con riferimento alla faccia posteriore del primo rampone e a quella anteriore del secondo; entrambi i ramponi presentano nella parte posteriore un recesso, nel quale trova appoggio il chiavistello presente nella parte inferiore della bascula stessa. I tenoni, come dicevamo, trovano sede nelle due mortase ricavate nella tavola di bascula.
Il sistema era, e rimane, pregevole; qualcuno, ignorando che ha funzionato egregiamente per circa 150 anni, ne evidenzia la presunta debolezza attribuendone il successo all’uso moderato delle armi, alla frequente presenza di un secondo fucile in coppia e ad altre circostanze che consentivano di non sottoporre a dura prova la chiusura stessa.
 
     
   
     
  Vero che, come dicevamo, la frequente presenza di una terza chiusura alleviava enormemente il lavoro della Purdey, ma è anche vero che la stessa, se ben eseguita, può sopportare ha spesso sopportato decenni di sollecitazioni notevoli e continue. Mi piace citare a questo proposito G. Lupi (la Doppietta Italiana, Ed. Olimpia, pag 116): Gli inglesi, molti anni fa, ci hanno insegnato a imbasculare. Fino al 1935 i loro fucili più fini battevano perfettamente in culatta e il secondo rampone si appoggiava quasi per metà sul traversino della bascula. C’era forse meno perfetta aderenza sulle superfici laterali dei ramponi perché gli inglesi hanno sempre prediletto un fucile che si apra liberamente, con il minimo sforzo”.  
  Sottolineerei comunque, concordando a pieno col Lupi, che la corretta imbasculatura non consiste esclusivamente in un perfetto aggiustaggio dei ramponi, ma alla stessa contribuisce l’accuratezza di lavorazione delle zone di contatto tra vivo di culatta delle canne e faccia di bascula.  
  Nei fucili muniti di chiusura ai ramponi di tipo Purdey, anche e forse soprattutto tra quelli più fini, si rileva spesso, invece, una sensibile tolleranza tra le sezioni trasversali dei tenoni e quelle delle mortase. In effetti questo dipende, verosimilmente, dalla volontà di agevolare il basculaggio delle canne per le operazioni di apertura e chiusura, qualità per gli inglesi imprescindibile in una doppietta “fine”. Il self opening della stessa Purdey, come quelli di altre marche prestigiose, ne sono la testimonianza più immediata e calzante.  
  In ogni modo, negli anni successivi, dopo che inglesi, come dicevamo, avevano imposto i loro basculanti come standard di riferimento costruttivo a tutto il mondo, si affaccia prepotentemente alla ribalta un archibugiere italiano che propone ( e brevetta nel 1906) una nuova ramponatura. La ramponatura Zanotti non è, a prima vista, strutturalmente molto diversa da quella Purdey: due ramponi inferiori, di dimensioni e forma più massicce, due mortase, un traversino e un chiavistello. La chiave di volta sta nella differente posizione del rampone posteriore e nel “triplo giro di compasso”.  
     
  Nella figura, tratta da "Armi Zanotti" di G. Preda Ed. Faenza sono evidenziate le tre facce dei ramponi che vanno in battuta contro le corrispondenti pareti delle sedi della bascula. Da questa caratteristica costruttiva la definizione "triplice giro di compasso"  
   
     
  Nella ramponatura Purdey la resistenza è compresa tra fulcro e potenza, ci troviamo di fronte ad una leva di secondo genere, quindi ad una situazione più favorevole alla rotazione delle canne  
   
  Nella ramponatura Zanotti, con potenza "P" posta tra fulcro "F" e resistenza "R" si configura una leva di terzo genere, meno favorevole alla rotazione delle canne di quella di secondo genere costituita dalla "doppia Purdey"  
   
     
  Il rampone posteriore si estende ben dietro la verticale della faccia (o culatta) di bascula –dove lo ingaggia il chiavistello- e pertanto la “potenza” (cioè l’energia che si sprigiona al momento dello sparo, che si esplica comunque nel tratto iniziale delle canne e quindi anteriormente al loro vivo di culatta e alla faccia di bascula) rimane “chiusa” tra fulcro, che corrisponde al perno e quindi è posto anteriormente al primo rampone, e resistenza che è posta nella parte posteriore del secondo rampone, dove questo è bloccato dal chiavistello. Quindi ci troviamo di fronte a una leva di terzo genere, con braccio della resistenza più ampio di quello della potenza, decisamente meno favorevole alla rotazione delle canne di quanto non lo sia quella di secondo genere costituita dalla duplice Purdey, nella quale la resistenza è posta tra fulcro e potenza con un’inversione del rapporto tra i relativi bracci. Certo, la tenuta è maggiore di quanto non sia quella della Purdey, ma i fucili sono i più pesanti e massicci, la struttura e le dimensioni della bascula, in particolare la lunghezza della tavola, sono condizionate dagli ingombri del “sistema ramponi”. Nelle armi che adottano questa chiusura, peraltro, soprattutto negli ultimi decenni è molto meno frequente la presenza della terza chiusura superiore. Cito a questo proposito quanto ebbe a scrivere, in una corrispondenza privata, il fraterno amico Gianluca Garolini (uno dei personaggi più completi del “nostro mondo”, munito di conoscenze tecniche vastissime):  
  "Signori, avete presente quali siano i tempi e la quantità di lavoro manuale di aggiustaggio e controllo al nerofumo di candela (o blu di Prussia, ma è meno classico) che è richiesto nella realizzazione di una perfetta autentica Terza Greener.
Beretta che nei suoi paralleli 409/410 ed anche nei primi esemplari della serie 425, aveva una terza chiusura semplificatissima ed a perno tondo passante si è preoccupata di toglierla al più presto all'inizio degli anni '70 quando la produzione iniziò ad essere accelerata dai ritmi industriali moderni.
Solo un artigiano di alto livello o una ditta di tradizione elevatissima e per questo irrinunciabile può permettersi il lusso di mantenere negli anni 2000 una vera Terza chiusura Greener realizzata con tutti i crismi e con un contatto di superficie nella testa ad incastro che sia superiore all'85/90% ... nella produzione industriale quello che dici può avere un senso, ma non lo ha quando si parla di armi da 20/30.000 EURO, nessuna delle doppiette di Desenzani,Piotti, Bosis, Famars o altri è dotata di triplice, e qui non manca né la capacità, né la pazienza, qui si tratta di scelta ponderata, non di rinuncia e non la si rimarca nemmeno in armi moderne estere di gran classe come Lebeau Courally."
 
     
  L’aspetto dei fucili inglesi è più leggiadro, sono meno affaticanti da portare a caccia (il problema non si pone nelle coppie usate nei “drives”) e l’apertura è resa più agevole da due tenoni che non aderiscano “a morte” alle relative sedi. Di contro, la filosofia costruttiva che privilegia la gradevolezza dell’apertura -con conseguente adeguata modalità di aggiustaggio dei tenoni – “suggerisce vivamente” la presenza di una terza chiusura, con un teorico indebolimento della bascula,un incremento dei costi di produzione e la ricerca di personale molto specializzato. E proprio la presenza costante della terza chiusura (che preferisco chiamare “chiusura superiore” tout court) dimostra che i grandi armaioli inglesi non avevano un granché da imparare dai colleghi continentali; difatti la disposizione di tutte le chiusure superiori, siano esse “a mensola” o costituite da un prolungamento della bindella bloccato in bascula, spostano la resistenza della leva sul piano posteriore della faccia di bascula, realizzando anche qui una leva di terzo genere. Tanto valida che ancora sopravvivono, in condizioni invidiabili, antichi fucili privi di ramponatura, ma muniti esclusivamente di chiusura Greener, Westley Richards Puppet Head o Bissel (detta anche impropriamente Rigby-Bissel), che rappresentano di certo lo “stato dell’arte” della chiusura superiore.  
     
  Inoltre le due scuole rispecchiano due differenti filosofie. I fucili inglesi nascono per sparare poche cartucce, spesso cacciando con l’ausilio del cane, e il canonico peso di un’oncia di piombo non esige bascule massicce e catenacci poderosi, mentre tipi di caccia come le famose tele alle folaghe (tipica, credo non a caso, delle zone dove nasce la ramponatura Zanotti) necessitano di armi idonee a sparare in un lasso di tempo ristretto molte cartucce con carica pesante. A questo proposito vorrei, però, fare una piccola notazione, forse un po’ polemica. Chi scrive ha cacciato per qualche decennio starne nelle belle riserve Viterbesi e beccaccini –col cane da ferma, direi ovviamente- principalmente con tre basculanti: una doppietta inglese (un’Army & Navy prodotta da Boss)del 1909, uno S3 del 1955 ed una decorosa recente Sarasqueta sidelock. Le cartucce usate abitualmente erano le “hunting” e le “sporting” di Casciano, 28,5 e 32 grammi di piombo, con bossolo da 65 mm. Attualmente caccio beccacce e beccaccini con le “Sporting”, ora prodotte da Minnetti di Roma, soprattutto e frequentemente in Irlanda, quindi mi riferisco a campioni statisticamente rilevanti. Non solo starne, beccacce e beccaccini, se ben tirati, cadevano (le starne) e ancora cadono (gli scolopacidi) bene anche a lunghe distanze, ma i non rari incontri con fagiani selvatici ben impiumati e anatidi di tutte le taglie si risolvono negativamente per i volatili con percentuali non inferiori a quelle ottenibili con le cartucce “all’italiana”. A ben guardare, si rileva che alcuni decenni fà si è diffusa la moda di cartucce cal 12 con cariche pesanti, che comportano fucili di peso e struttura adeguata; in seguito si è cominciato a capire che portare a spasso 3,4 kg di fucile stanca e si sono iniziati ad affermare i primi fucili,anche sovrapposti, con bascula in lega d’alluminio (ne ebbi uno nel 1973, con 34 e 3 ma anche con 32 grammi scalciava come un somarello sardo) e negli ultimi anni si sta diffondendo la tendenza (ma vogliamo chiamarla, più propriamente, moda?) a cacciare col cal 20, perché più leggero, ma sempre con cariche di piombo al limite superiore del calibro. Peraltro, un 20 medio pesa quanto un 12 di scuola britannica e spara cartucce con cariche di piombo sostanzialmente pari a quelle che si tirano con quel tipo di fucile, nelle ora snobbate camere da 65 mm, ma con una conformazione della rosata assai più oblunga -a pari strozzatura e tipologia di munizione- di quella fornita da un cal. 12. Lungi da me affermare che l’eccellente ramponatura Zanotti non costituisca, nel proprio campo, lo stato dell’arte, ma una piccola riflessione in merito credo non sia superflua. Riflessione dalla quale può scaturire una sola logica conclusione: la doppietta di scuola inglese e quella romagnola costituiscono la perfetta soluzione a due diverse esigenze e in quest’ottica sono entrambe pietre miliari, ognuna nel suo campo, ancora insuperate.  
     
  Le tecniche di unione canne - tenoni
monobloc e demibloc
 
  Abbiamo visto come nel quadro delle chiusure inferiori i ramponi, o tenoni, costituiscano
la chiave di volta della tenuta del fucile, impedendo di fatto lo scollamento – pur con
qualche piccola esitazione, in taluni casi- dalla faccia di bascula del vivo di culatta
delle canne e la rotazione di queste sul perno di bascula. Questo avviene – l’affermazione
nonostante appaia lapalissiana non è superflua- per essere i tenoni solidali, appunto, con
le medesime. A questo punto non appare ultroneo un cenno alle modalità con le quali,
appunto, tale solidarietà si realizza.
Le tecniche universalmente utilizzate sono due, quella del monobloc di culatta e quelle
impropriamente riunite sotto il generico nome di demibloc o chop lumpers.
 
  Demibloc  
   
     
  Per documentare adeguatamente queste righe, Lucio M. Balbo e io ci siamo recati in Val Trompia. Gli amici Fabio, Manuel e Rudy Piotti ci hanno messo a disposizione,oltre al loro tempo, la loro officina che abbiamo “saccheggiato” con le macchine fotografiche, immortalando bascule, ramponi, semiramponi, canne grezze, sbozzate e finite; i sempre ospitali (imperverso nella fabbrica dagli anni subito seguenti la guerra, probabilmente ancora coi denti da latte) Dirigenti Beretta e in particolare Jarno Antonelli, ormai amico di vecchia data, ci hanno messo a disposizione alcune armi molto interessanti tra le quali una meravigliosa doppietta 451 del 1949, incisa da Bregoli e un sovrapposto S55 di primo tipo, col manicotto del monobloc ottagonale, oltretutto molto raro perché in cal. 20. Due realtà profondamente diverse, la grande industria e la bottega artigiana, accomunate dalla cultura delle tradizioni. Dalla passione e la fierezza per il proprio lavoro e da un'innata capacità di volerne far partecipi gli appassionati con orgoglio e cortesia.  
  Marginalmente, abbiamo notato che la “451” non era munita della famosa “ramponatura a tetto” sulla cui funzionalità gli esperti hanno intavolato accese, discussioni. Semplicemente il rampone posteriore è lievemente ma nettamente più corto dell'anteriore. Non è fuori luogo ipotizzare che si sia voluto conservare uno spessore maggiore della tavola di bascula nella parte soggetta alle più gravose sollecitazioni.
Da rilevare che il Lupi ( G. Lupi, “Onore a un fucile” pag 34), riferisce che i due tenoni della doppietta, o delle doppiette, mod. 451 da lui esaminata sono uniti da una sorta di ponticello, la cui funzione sarebbe quella di fornire maggior rigidità al complesso dei tenoni, contribuendo all’assorbimento delle torsioni che il noto problema del disassamento canne-tenoni crea nelle doppiette. Nel bell’esemplare di mod.451 messoci a disposizione dalla Beretta la ramponatura non presentava questa particolare caratteristica; peraltro la ritroviamo in due doppiette Beretta, mod 409 e 410, di proprietà del noto e competentissimo appassionato Adolfo “Dodi” Mattiolo,che ce ne aveva mandato delle foto per documentare l’uso delle chiusure superiori (Purdey la 409, Greener la 410) su questi modelli della casa Valtrumpina.
 
     
  BERETTA 409  
   
     
  Entrambi i fucili (armi eccellenti, ma di livello non comparabile con quello della “451”) sono peraltro fabbricati successivamente alla doppietta da noi esaminata e, conseguentemente, possiamo dedurne che tale tipo di ramponatura sia stato adottato dalla Beretta dopo l’inizio degli “anni 50” dello scorso secolo.  
     
  BERETTA 410  
   
     
     
 
IL DEMIBLOC (chopper lumps) e i sistemi a tubo intero
 
  La tecnica detta “DEMIBLOC” O “CHOPPER LUMPS”- riferisce Lupi (“La doppietta Italiana”, pag. 110) nasce a Dublino nella bottega di J. Rigby attorno al 1860. Ogni tubo portava un semi-rampone non saldato o comunque applicato, ma integrale al tubo e che andava ad accoppiarsi con quello portato dall’altra canna. Il sistema venne presto abbandonato, perché trattandosi di canne in damasco il rampone del medesimo materiale, ottimo per le canne in quanto elastico- non possedeva le doti di rigidità necessarie per svolgere correttamente il lavoro cui è preposto. Venne quindi adottata la tecnica di inserire i ramponi in acciaio tra le canne con un innesto a coda di rondine. Una volta adottato l’acciaio per la costruzione dei tubi si tornò, o fu comunque possibile tornare, al semi rampone integrale .  
     
   Qui si rende necessaria una precisazione: il termine “demibloc”, così come la definizione inglese, esattamente equivalente,di “chopper lumps” sta inequivocabilmente a indicare la presenza di due semi-ramponi. Pertanto la sola cosa che hanno in comune questa tecnica e altre come l’innesto “a coda di rondine” sta nell’aspetto esteriore delle canne, costituite da tubi interi, non innestati nel manicotto del monobloc, che conseguentemente non presentano la soluzione di continuità evidente nell’altro sistema. Pertanto preferisco definire queste tecniche “a tubi interi” e non accomunarle, se non esteticamente, al demibloc.
La tecnica qui schematicamente illustrata e la validità del sistema non hanno bisogno di molti commenti. Il tenone derivante dalla saldatura dei due semi ramponi originari non solo è saldamente congiunto ai tubi, cui “appartiene” per ogni sua metà, ma la sola saldatura presente è “immersa” nella mortasa, che supporta le due parti così unite le quali non hanno, conseguentemente, alcuna reale possibilità di dissaldarsi in quanto la saldatura stessa non è sostanzialmente oggetto di alcuna sollecitazione, in quanto poiché i due semiramponi (supportati anteriormente l’uno dal traversino e l’altro dal perno)non tendono, sotto effetto della fucilata, a scorrere l’uno sull’altro. Il sistema è validissimo, anche se situazione ricorrente per le cose buone e belle piuttosto costoso. Inizialmente, al fine di rendere la loro unione assolutamente incrollabile, i semiramponi venivano anche spinati; tale abitudine è andata via via scomparendo, salvo in alcune piccole e qualificatissime realtà che mantengono produzioni d’eccellenza; tra queste l’officina dei Fratelli Piotti, tra le poche che ancora eseguono la spinatura dei semi-ramponi delle doppiette. La documentazione fotografica che presentiamo, che spazia attraverso le varie fasi di lavorazione dal tubo grezzo col semirampone, dimostra quanto lungo e complesso sia un vero accoppiamento in demibloc. Da notare che per il sovrapposto la tecnica, concettualmente assai simile, prevede due manicotti che, sull’area di giunzione, presentano le rispettive superfici con numerose piccole fresature “a maschio e femmina” che migliorano la tenuta della saldatura dei manicotti. I ramponi, nel caso specifico di tipo “Boss”, vengono ricavati nella superficie laterale del demibloc.
 
     
       
       
   
       
   
     
  Falso Demibloc
  I  sistemi a tubi interi, il sistema della coda di rondine, o "dove tail" detto anche "falso demibloc" originariamente scelta obbligata rimase in uso anche dopo che si iniziò ad usare per le canne l'acciaio invece che il damasco; confesso di aver nutrito diverse perplessità su questa tecnica certo che non presentasse le caratteristiche di efficienza e robustezza del demibloc vero, quello cioè nel quale ogni tubo porta metà del blocco dei ramponi; sicuramente questa convinzione ha un fondamento, è innegabile che i due semi ramponi costituenti ognuno un blocco unico col suo tubo, saldati e bloccati nella mortasa e addirittura, in qualche caso, spinati costituiscono un sistema formidabile ma lo stesso Greener, che seguito e ritenere insieme a pochi altri uno dei grandissimi dell'archibugieria di ogni tempo, riconosce al "dove tail"  caratteristiche di ottima robustezza e durata, in particolare quando quando l'esterno della coda di rondine viene sagomato sul profilo esterno   delle canne ha sortito risultati del tutto soddisfacenti.
Peraltro non tutti gli autori sono d'accordo sulla validità di questa tecnica ed addirittura alcuni hanno espresso in tempi diversi pareri decisamente contrastanti.
È peraltro doveroso rilevare che il “dove tail” venne usato da molti Gunmakers di grande livello fino a pochi anni prima della seconda guerra mondiale.
       
   
     
  Un altro sistema, oggi credo del tutto in disuso, è descritto da Greener che lo giudica il migliore in assoluto. I ramponi sono parte di un blocco d’acciaio che si inserisce, e viene saldato, tra le canne fino a raggiungere la bindella. Riferisce l’autore che con questa tecnica i ramponi reggono finché le canne rimangono unite in qualche modo tra loro!Un altro sistema di accoppiamento canne-ramponi prevede la saldatura dei tenoni alle canne per procedere successivamente all’ulteriore saldatura dei piani. Del tutto superfluo specificare che in questo modo si creano due punti di debolezza , corrispondenti alle due saldature. Anche questa tecnica, niente affatto ideale- viene contrabbandata da alcuni costruttori come “demibloc” giacché non sono visibili sulle canne le giunzioni, tipiche del monobloc, tra manicotto e tubi.
Comunque un osservatore esperto potrà rilevare –sia in questo caso che nel sistema a coda di rondine i segni delle saldature.
Lo stesso Greener (moder Breech-loaders, pagg 21-25) sottolinea l’opportunità di procedere a saldature su piccoli pezzi piuttosto che su quelli più grandi, sconsigliando implicitamente la saldatura dei piani.
Giova, forse, riportare qui, integralmente e in lingua originale la descrizione e i commenti formulati nel suo fondamentale testo “modern Breech loaders, sporting & military”:
 
  Fig 14, No 3, gives the end view of the steel lump brazed to the barrels; this simple V_shaped lump, is the one most commonly used. There is no dovetail: it is entirely dependent upon the brazing for its adhesion to the barrels' . We have made many hundreds of guns on this plan, and newer found but one or two give way; and these mishaps occurred when we first began to make guns on the central-fire plan; the lump not being let deep enough, into the barrels to admit of the extractor-hole being drilled, the drill cut away the brazing and loosened the lump. This is now remedied by having the hole for the extractor lower down, so that it may go trough the solid lump.   ...  The engraving No. 4, Fig. 15, shows an improvement on thee V-shaped lump, it being dovetailed as weil as brazed. We consider this plan perfectly efficient for large-bore guns or rifles. If the brazing should happen to be imperfect, the dovetail would hold it so long as the barrels kept together . The chance of the barrels parting is very remote. The top rib being soft soldered on is sufficient to keep them intact .We have know this lump to stand without brazing at all-merely soft-soldered. There is certainly a slight chance of the dovetail being cut away a little, or weakened during the process of fitting the action; to obviate this we have decided to use the lump as represented by engraving No. 5, Fig 16. This is a solid steel lump fitting bettween the barrels,extending upwards to the top rib ; this lump can be brazed in the usual way , or soft-soldered. We counsider if this lump is soft-soldered onlv, that it is perfectly safe . We have heard it argued that any dovetailed lump is liable to get loosened or come off by the barrels springing apart, supposing the brazing shouLd be imperfect. We do not, however. concur in this view; but belieVe it next to impossible, simply because the barrels are so strong at the breech-ends , that they would not spring unless the barrels were loose at the last twelve inches or more from the breech' This is an improbable condition of affairs as the barrels are held together by the top and bottom ribs, besides being soldered between the two barrels . We prefer no. 5 lump to all others; it is, without exception, the best.  
  Greener  
  Da qui si evince che l’uso della coda di rondine era considerato assai sicuro, e ancor più affidabile si riteneva essere (tanto che la Greener lo utilizzava su tutti i suoi fucili dell’epoca) il sistema del lunghissimo rampone a contatto in alto sulla bindella e lateralmente sulle canne. Evidentemente tali tecniche, applicate ad armi che hanno superato brillantemente l’usura dei decenni e a volte dei secoli, avevano un’eccellente valenza; ma voglio ancora spezzare una lancia a favore del “monobloc vero”, con i semi-ramponi su ogni canna; effettivamente la metallurgia ha compiuto passi enormi e la riserva (un tempo giustificata) legata alla necessità di differenziare il materiale delle canne da quello dei tenoni mi pare superata. In effetti possiamo vedere come anche sui fucili da pedana con canne accoppiate in demibloc i tenoni di quelli siano, dopo centinaia di migliaia di colpi,assolutamente immuni da ogni “sofferenza” dovuta a tale caratteristica.  
     
  IL MONOBLOC o monobloc di culatta  
  Si tratta di un sistema di unione canne-ramponi nato, pare, in Belgio I tenoni sono solidali con un manicotto che reca due fori per l’alloggiamento dei tubi delle canne, che vi vengono inseriti in modo stabile. Inizialmente il tubo veniva avvitato all’interno del manicotto ; tecnica non ideale in quanto la giunzione andava a cadere a circa 70 mm, quindi alla fine della camera di cartuccia dove lo stress da pressione è massimo; successivamente si sperimentarono un innesto rettilineo piuttosto lungo, senza avvitatura,e una tecnica che prevede per entrambe le parti hanno, nella zona interessata alla giunzione, un andamento conico, con sezioni sempre piuttosto elevate e certamente adeguate nella zona dei ramponi. Inizialmente la parte finale del manicotto veniva lasciata sporgere rispetto al tubo, immagino al fine di offrire maggior resistenza ai colpi..
Ricordo perfettamente i primi esemplari del mitico S55 Beretta, nel quale il tozzo manicotto poligonale saltava evidente allo sguardo.
 
     
   
     
  L’accoppiamento canne-ramponi ottenuto adottando questa tecnica è di solidità eccellente, ma alcuni lo considerano incompatibile con il concetto di “arma fine”. Questa posizione mi ricorda da vicino la tesi per cui i “sidelock” sarebbero i soli fucili “di classe”, mentre i “boxlock” sarebbero da confinare nel limbo della qualità corrente; certe affermazioni fanno sorridere, se si pensa agli acciarini di Greener o Westley Richards, due firme cui sono legate alcuni dei momenti più importanti della storia dell’archibugieria.
Un monobloc ben fatto è certamente funzionale; dalla foto seguente si può affermare che anche con questo sistema si possono allestire fucili di gran pregio
 
     
  Beretta mod. 451 del 1949 inc. Bregoli  
   
     
   
     
  Monobloc conico Beretta del primo tipo  
   
  Monobloc conico Beretta del secondo tipo  
   
     
  Centinaia di allori colti dal nostro più grande produttore con armi con canne demibloc ne sono la prova evidente. E i modelli di fascia alta sono anche, indiscutibilmente, molto belli ed eleganti.Nella valutazione della “finezza” di un fucile non c’è posto per altro che per i contenuti tecnici e la correttezza dell’esecuzione, così come un cane o un cavallo da lavoro sono belli solo se zoognosticamente rispondenti alla funzione cui sono deputati. Si può legittimamente preferire, a livello estetico, l’aspetto delle canne demibloc a quelle monobloc, come un calcio all’inglese a uno a pistola o un fucile di aspetto massiccio come un Lebeau Mod 3 Pigeon rispetto ad un filantissimo Lancaster Twelve Twenty, uno Zanotti a un Purdey, ma non sono questi gli elementi che conferiscono o interdicono a un fucile la qualifica di arma fine. La stessa qualità della incisione, elemento puramente estetico, è determinata prima che dal soggetto dalle capacità tecniche di chi la esegue.
Con una nota un po’ polemica mi chiedo quanti di questi “talebani del chopper lumps” siano rimasti estasiati davanti alle canne di uno schioppo, non “storpiate” dal malefico segno di giunzione al manicotto, ma munite in compenso di una serie di belle , quasi invisibili, saldature a carico di canne, piani e tenoni. Occhio non vede, cuore non duole? Forse.
 
     
     
  Concludiamo qui la prima parte di questo impegno:
Affronteremo in seguito, sempre indegnamente, l’argomento delle chiusure superiori e poi quello dei sistemi di chiusura del sovrapposto, che differiscono sensibilmente, da quelli della “doppietta”, riservando qualche riga ad alcuni fucili di struttura del tutto particolare
 
     
  Nota:
Purtroppo il 18 Marzo 2017 il grande Amico Mauro Minervini ci ha lasciati, vinto dalla malattia che per anni aveva combattuto.
La seconda parte di questo lavoro perciò non vedrà la luce.

Lucio M. Balbo